Parco S. Jachiddu, "non stare dove non fiorisci".


  

Ci si aggira feroci, scostanti, diffidando gli uni degli altri.

La fregatura è la prassi, la farsa il vero, l'apparenza sostituisce il reale. 

Tutti sulle difensive, tutti proiettati in avanti. Che poi, avanti dove? 

Avanti a chi?

Per arrivare a conquistare che cosa?

Esiste un'alternativa a tutto questo? 

Esiste la possibilità di ritornare ad avere fiducia negli altri e nella bellezza? 

Oppure tutto, ma proprio tutto, deve andare avanti solo se profittevole, producente ed economicamente rilevante?

Esistono luoghi e persone che ci fanno ancora sperare che il cambiamento è possibile?

Che, “si può fare”, “si può realizzare”?

La notizia positiva è che: - “SÌ! Esistono, luoghi e persone che insieme creano energia, valori, messaggi, esempi, risorse e speranza”. 

Sono come pietre preziose che, con perseveranza, in silenzio cantano.

Resistono, gioiscono, pregano e svelano il Vero e il Bello nella semplicità.

Uno di questi luoghi di cui, “se ne tacessimo, parlerebbero le pietre”, è il parco ecologico di S. Jachiddu.

Luogo sfuggito al suo triste destino di guerra prima e di abbandono poi, per vocarsi alla natura, all'arte ed alla pace.

 “Non stare dove non fiorisci”, questo uno dei tanti messaggi lasciati in giro per il parco, dipinto, sospeso sul sedile di un'altalena, pronta a spiccare il volo  e ad incoraggiare i sogni e la gioia di coloro che, sotto gli alberi di un’aula all'aperto, provano a cogliere il frutto della conoscenza, dall'insegnamento della natura.



Si fiorisce davvero in questo luogo in cui, una volta varcato l'ingresso, si desidera intensamente di “STARE”... fermarsi, meditare, riunirsi al tutto.

Trascorrere una giornata tra questi luoghi, tra le opere d'arte del Giardino dei miti, gli alberi che diventano scale, le preghiere degli Hare Krishna, le vispe caprette all'imbocco del ponte levatoio, i gattini amichevoli, gli asinelli a pochi  passi dall'aula didattica, le anatre che nuotano nel laghetto in fondo al fossato, l’Agorà con il grande arco che conduce al percorso che si inoltra nella sughereta e poi ancora più su verso Peloritani, significa ... “Stare”…in pace.

Consentire a farsi condurre per mano per ritornare bambini, liberi, sinceri.

Lo sguardo si volge al panorama: il centro di Messina a poca distanza, il porto, lo stretto, l'incanto di un via vai millenario.

Ancona un po'  più in là, a sinistra la sagoma dei Ganzirri e le punte di Sicilia e Calabria sospese tra Cariddi e Scilla quasi a sfiorarsi.

Un uomo è voce di questo luogo, un combattente di sogni e di fede, Fratel Mario. Traino nella rinascita di questo antico forte, più di vent'anni fa, sogno’ di fare di questo di sito abbandonato un luogo di spiritualità senza distinzioni di fede.

Un angolo di sostenibilità e di integrazione sociale per le persone del quartiere di Gioia, che sorge alle pendici della collina.

Riuscire in un obiettivo del genere, senza finanziamenti, senza gli appoggi giusti, è stata una vera e propria, impresa.

Ma Mario Albano è riuscito a coinvolgere la comunità, facendo come san Francesco: “chiedendo a tutti un mattone".

E la comunità ha risposto al suo appello insieme a tanti giovani, volontari “gli amici del fortino” che collaborano nel mantenimento e nella cura di questo parco.

Un suo bellissimo brano, all'ingresso del Forte rende fedelmente l'emozione che suscita questo sito a chi sa ascoltare:


VIBRARE CON LA NATURA

“ Un dì vedrete mendico un cieco errar sotto le vostre antichissime ombre, e barcollando penetrar negli avelli e abbracciar le urne e interrogarle”

 (da Dei Sepolcri di Ugo Foscolo)


Questa suggestiva e immaginaria scena di un Omero cieco che abbraccia le rovine di Troia e le interroga sugli ultimi giorni prima della sua caduta mi accompagna mentre percorro il sentiero che dal Forte S. Jachiddu sale verso i Peloritani.

La città di Messina, anche se ben visibile è lontana, molto più lontana della sua reale distanza fisica. C'è tanta pace e tanto silenzio, ma un silenzio particolare, molto diverso dal silenzio che si sperimenta in una stanza chiusa dove il rumore del pensiero è molto opprimente. È un silenzio comunicativo che mi fa percepire la vitalità della natura che mi circonda, che mi fa sentire compagno di vita delle querce da sughero, del corbezzolo, dell'erica, del piccolo crocus, dei tanti piccoli animali ubriachi di vita.

Allora sento il bisogno di sedermi. 

C'è l'imbarazzo della scelta se rivolgere le spalle ai Peloritani o allo Stretto. 

Poi mi accorgo che non c'è un davanti e un di dietro. E' un tutt'uno.

Non distinguo bene se i colli, come un gregge di agnelli, escono dal mare o vanno verso il mare.

Seduto. Guardo e sono guardato.

E come Omero vedo e sento la storia di questo luogo. La storia di quando gli dei e le ninfe passeggiavano su sentieri non diversi da questo, vedo la barca di Ulisse che lotta contro i flutti di Cariddi per non finire sugli scogli di Scilla; vedo vecchi eremiti segnati dalla sete dell'Assoluto seduti accanto a me a guardare il sole che sta tramontando, e vedo anche abbronzati contadini che nell'aia accanto, cantando vecchie nenie, fanno girare i muli sui covoni per separare il grano dalla pula.

Come mi sembrano strani e fuori luogo nella mia fantasia i cannoni del forte puntati verso il mare aspettando caparbiamente da cento anni un nemico che non viene! 

No, Il nemico è già venuto, ma i cannoni non ci sono più. 

É venuto il nemico, senza divisa militare, ma con la cravatta, accompagnato da ruspe, betoniere e da torce incendiarie.

Gli alberi, il filo d'erba, gli affioramenti rocciosi mi raccontano tutte queste cose senza astio, senza rancore, perché sanno che la vita è più forte della morte. 

Mi dicono che anche le ferite dell'ultimo incendio si stanno cicatrizzando

Così, mentre inconsapevolmente sto accarezzando un cespuglio di lentisco, scorgo un gruppo di ragazzi che sta percorrendo lo stesso mio sentiero.

Sono chiassosi, ma non disturbano, uniscono le loro voci al cinguettio della natura. 

II mio cane è euforico e va loro incontro scodinzolando.


È LA VITA!

Fratel Mario


Ed proprio la VITA che prepotente si insinua tra la bellezza di questi luoghi, che incanta e culla e declina la sua perfezione in ogni filo d’erba, in ogni albero o soffio di vento.  

È la vita che nonostante i disastri e gli incendi, con caparbietà si riprende ciò che è suo e grida:

“Non riuscirete a rubarci i sogni!”

Così come recita il murale all' ingresso del parco.

E così succede che i sogni riescano a diventare realtà.

Non si corre più, non si passa avanti a nessuno, non c'è alcun bisogno di arrivare a conquistare nulla.

Semplicemente si ritorna a respirare ad avere fiducia ad affermare che “Si!”

Nonostante tutto, “si può fare”! 

Si può collaborare insieme per nutrire qualcosa di più grande di noi, qualcosa che ci comprende.

 Attuare il passaggio da un destino di guerra ad una testimonianza di pace.  

Il tramonto sta per giungere.

Dalla chiesetta interna esco sul maestoso piazzale, in alto, al livello superiore, sedute in cerchio, delle persone  vestite di arancione cantano un mantra accompagnati da  tamburo e campanelle.

Li osservo, alle loro spalle il mare, alle mie i monti e tutto è perfettamente in equilibrio. I miei ragazzi hanno raccolto delle carrube per le caprette, una gatta in avanzato stato di gravidanza si crogiola all'ultimo calore del sole su una piccola panchina, ricavata da un tronco, che pare realizzata appositamente per lei.



Il canto degli Hare Krishna si sparge ovunque confondendosi con i colori del tramonto.

Il “giardino degli umili” offre il suo riparo, sul muro della guest house, una fila di scarponi da montagna è diventato un fiorente vivaio di piante grasse. 

Qui sembra che tutto trasmuti e ciò che è stato dismesso e abbandonato un giorno, rifiorisce di una vita nuova per divenire parte della bellezza infinita.


Maria Spalletta

















Commenti

Post popolari in questo blog

Castello Manfredonico di Mussomeli, la provincia di Caltanissetta da scoprire tra storia e leggende

Zelantea, un tesoro nascosto

Caccamo il più bello...